Qualcosa da sapere sul dialetto abruzzese
L’Abruzzo, per quanto riguarda il dialetto, non è un’unità emogenoa sul
territorio. I dialetti parlati sono tanti, perché quasi ogni centro
abitato ha il suo.
Geografia del dialetto
Così, i dialetti abruzzesi, possono essere suddivisi in 2 gruppi, il
secondo dei quali ulteriormente ramificato, e a loro volta articolati in
7 aree complessive
L’indebolimento delle vocali atone (l’isoglossa fondamentale), serve a
distinguere i dialetti italiani meridionali da quelli dialetti italiani
centrali e attraversa l'Abruzzo, partendo da Campotosto, toccando le
frazioni dell'estrema periferia della città dell'Aquila, cioè Assergi
(già ascrivibile però al dominio abruzzese), Camarda, Paganica e
Pianola, per poi scendere più a sud, attraversando alcune frazioni di
Avezzano, cioè San Pelino, Antrosano e Cese, fino a giungere intorno a
Canistro al confine con l'area ciociara.
Dunque, i dialetti abruzzesi possono essere suddivisi in 2 gruppi, il
secondo dei quali ulteriormente ramificato, e a loro volta articolati in
7 aree complessive:
Sabino (dialetti italiani centrali)
Aquilano, a nord e ad ovest della città dell'Aquila (antico contado
amiternino), che però linguisticamente parte da Accumoli, nel reatino,
comprende la valle del Velino, con i centri di Amatrice, Antrodoco,
Cittaducale, fino a tutta la provincia di Rieti ed inoltrandosi in parte
di quella di Terni;
Carseolano, attorno a Carsoli fra la Marsica e la valle dell'Aniene
(Lazio);
Tagliacozzano, limitato a Tagliacozzo e alle località del suo
circondario (Castellafiume, Scurcola Marsicana), ed esteso fini alle
frazioni periferiche di Avezzano San Pelino, Antrosano e Cese.
Tratto qualificante di questo gruppo dialettale è la conservazione delle
vocali finali atone. In particolare nel dominio reatino-aquilano, area
tradizionalmente conservativa, viene tuttora mantenuta la distizione fra
-o ed -u finali, a seconda dell'originaria matrice latina: ad esempio
all'Aquila si ha cavaju per "cavallo" (latino caballus), ma scrio per
"io scrivo" (latino scribo). Ad occidente del suddetto dominio si
estendono le parlate dei Piani Palentini, con centri di irradiazione
quali Carsoli e Tagliacozzo, la cui punta più a sud, a contatto con
l'area abruzzese della Marsica, è San Pelino, frazione di Avezzano: a
ridosso dell'area laziale, queste parlate sono caratterizzate dalla
confluenza delle vocali originali latine -u ed -o nell'unico esito -o (cavajo,
fijo), ma come il sabino possiedono il medesimo sistema vocalico,
fonetico e morfologico.
Abruzzese occidentale (dialetti italiani meridionali)
Marsicano e Aquilano orientale, parlato nella Marsica e ad est della
città dell'Aquila (antico contado forconese)
Peligno, parlato nel circondario di Sulmona (L'Aquila) e nell'area
appena ad est delle gole di Popoli, suddiviso, come si vedrà più tardi,
in Peligno occidentale, che conserva la -a finale, e in Peligno
orientale, che la indebolisce ad -ë e presenta metafonesi di -a.
Abruzzese orientale-adriatico (dialetti italiani meridionali)
Ascolano, parlato nei comuni della Val Vibrata a confine fra le province
di Teramo e Ascoli Piceno e nella parte meridionale della Ascoli Piceno
fino al fiume Aso.
Abruzzese adriatico, relativamente omogeneo fino alla dorsale
appenninica, parlato nel grosso delle province di Teramo, Pescara e
Chieti, che presenta le maggiori differenze nel campo della pronuncia
vocalica, al punto che può essere ulteriormente suddiviso in: Teramano,
Pescarese-Pennese (entrambi a vocali aperte), Chietino occidentale (con
isocronismo sillabico completo), Chietino orientale, Lancianese e
Vastese, (con isocronismo parziale).
Numerose sono le aree di transizione, per lo più coincidenti con zone
conservative e arcaicizzanti della provincia dell'Aquila, come
Pescocostanzo ed Ateleta, le aree attorno a Sulmona, Barisciano. A
Roccaraso, Castel di Sangro e nella Valle Roveto penetrano forme
dialettali strettamente vicine al Campano.
Metafonie
Questo fenomeno colpisce le vocali toniche é, è, ó, ò (chiuse/aperte)
del sistema romanzo comune, quando la vocale finale della parola
originaria latina è i oppure u. In particolare, ciò avviene per i
sostantivi e gli aggettivi maschili singolari (terminazione latina - um)
e plurali (terminazione latina - i), rispetto ai corrispondenti
femminili singolari e plurali (terminazioni - a, -ae).
La metafonesi è tipica dell'Italia centro-meridionale, che include le
Marche fino alla provincia di Macerata, l'Umbria al di qua del Tevere
con Spoleto, Foligno, Terni, e la Sabina fino alle porte di Roma.
Invece nel toscano, così come nell'italiano standard, la metafonesi non
esiste.
L'Abruzzo adriatico costituisce una zona a sé stante, in quanto vi si
presenta solo la metafonesi da i finale. Gli esiti delle vocali alterate
sono diversi a seconda della zona, ma tuttavia si può dire che dal punto
di vista fonetico la metafonia abruzzese sintetizza i processi di
elevazione linguale del tipo sardo e napoletano.
La é e la ó passano normalmente a i e, rispettivamente, u. Facendo
qualche esempio tratto dalla parlata di Ortona (Chieti), si ha così:
nìrë 'neri', ma nérë 'nero', e gëlùsë 'gelosi', ma gëlósë 'geloso'. Le
vocali aperte è, ò possono invece avere due esiti differenti. Il primo
tipo di metafonesi, talvolta detto "sabino" perché tipico, tra le altre
zone, della Sabina ivi compresa L'Aquila, prevede la chiusura di dette
vocali a é, ó. Così, all'Aquila si ha: bégliu 'bello', ma bèlla 'bella',
e bónu 'buono', ma bòna 'buona'.
L'altro tipo di metafonesi è quello "napoletano" o "sannita", tipico di
larga parte dell'Italia centro-meridionale. Essa prevede la
dittongazione, generalmente con esito ié, uó. Nel dialetto napoletano si
ha, ad esempio: viécchjë 'vecchio', ma vècchja 'vecchia', e nuóvë
'nuovo', ma nòva 'nuova'. Molto spesso, il dittongo è ritratto sul primo
componente, e così l'esito metafonetico diventa ì, ù. Ciò accade,
limitatamente alla metafonesi da -i, ad esempio a Pescara: vìcchjë
'vecchi', o nùvë 'nuovi'.
La situazione in Abruzzo è quanto mai complessa.
Il tipo sabino è tipico della macro-area aquilana e di quella
marsicana-aquilana orientale, incluse le città dell'Aquila e di
Avezzano. La metafonesi sannita domina invece la macro-area peligna, con
Sulmona stessa, e quella ascolana. Nell'Abruzzo adriatico, invece, si ha
solo metafonesi da -i, di tipo sannita (così a Pescara, Chieti, Teramo,
Lanciano, Vasto, Ortona).
La situazione è in realtà più complessa di questo semplice schema, con
diverse aree di transizione ed eccezioni motivate da particolarità
storiche.
Questo perché l'Abruzzo interno è stato investito da due correnti, una a
metafonesi sabina, l'altra sannita: la prima, proveniente dall'area
umbro-laziale, si estese nei contadi amiternino, forconese e marsicano,
la seconda, originaria della zona campano-molisana, interessò il contado
valvense, che prima della fondazione dell'Aquila, arrivava fino a
Barisciano, per poi interessare solo parzialmente l'area montana vicino
Sulmona (in quanto alle porte orientali del capoluogo peligno comincia
una piccola area con metafonesi nuovamente sabina, con Marane, frazione
di Sulmona, Campo di Giove e Pacentro), e traboccare oltre le gole di
Tramonti, in alcune località montane dei contadi pennese e chietino.
Successivamente alla fondazione della diocesi aquilana, la metafonesi
sabina riconquistò la zona dell'altopiano peltuinese e della valle del
Tirino, oltrepassando Forca di Penne fino a Sant'Eufemia a Maiella, ma
non intaccò le aree montane più conservative.
Infine, la metafonesi sannita solo da -i si è probabilmente propagata
più tardi rispetto alle precedenti, ed ha interessato l'intera area
adriatica per la presenza dell'asse della Salaria ascolana.
La tesi di un'antica metafonia da -u nella fascia adriatica sostenuta
dal Rohlfs non è accettabile, perché i poci esempi riscontrabili sono
dovuti ad altre cause, come la palatalizzazione per consonanti contigue,
ad esempio in dicìmbrë, oppure per evitare omofonie e confusioni
semantiche, come in trappitë "treppiede". Anche le forme ùojë "oggi" e
uògnë "ogni" del dialetto di Castelli, da cui ùjë e ùgnë del
pescarese-chietino derivano non da metafonesi ma da un gruppo fonetico
palatale o da un suono palatale.
Metafonesi di -a
La metafonesi di -a, limitatamente alle finali in -i, interessa quasi
esclusivamente il versante adriatico, vale a dire il Teramano-Atriano,
il Pennese-Pescarese con le aree di Forca di Penne e della valle d'Orta,
il Chietino occidentale ed orientale, il Lancianese ed il Vastese, ma
trabocca anche oltre le gole di Popoli, arrestandosi a Bussi sul Tirino,
e nella parte orientale della valle peligna, ossia quella che
indebolisce la -a finale.
Come esempio, si può prendere la parlata di Chieti, dove si ha lu
bardascë, "il bambino", ma li bardiscë, "i bambini"; lu canë, ma li
chinë, ecc. Talvolta l'esito metafonetico è diverso in sillaba libera e
in sillaba complicata: a Guardiagrele, ad esempio, a causa
dell'isocronismo totale, si ha lu canë, li chénë, ma lu pannë, "il
panno", ma li pènnë, "i panni".
Aree metafonetiche
Area sabina - Nel dominio reatino-aquilano-carseolano-tagliacozzano,
attestatosi su un vocalismo a quattro gradi, in cui -u finale si
continua o si è conguagliata in -o, la metafonesi è determinata dalle
vocali finali -u ed -i: ad esempio all'Aquila si ha paése, ma al plurale
paìsi, mòrta ma al maschile mórtu, apèrta ma apértu e così via.
Area peligna - Le parlate dell'area peligna metafonizzano, come quelle
sabine, date -u ed -i finali, utilizzando però la cosiddetta metafonesi
"napoletana" o "sannita": perciò per le vocali aperte è, ò è prevista la
dittongazione, generalmente con esito ié, uó, mentre per le chiuse é, ó
vi sono i rispettivi esiti i, u. Così a Sulmona si ha vìdevë "vedovo" ma
védevë "vedova", e sùocërë "suocero" ma sòcërë "suocera", apìërtë ma
apèrtë e così via.
Area adriatica -
Isocronismo sillabico
Buona parte del sistema vocalico romanzo comune è stato successivamente
alterato, in alcune zone, da una corrente linguistica che ha provocato
l'apertura in è, ò delle vocali chiuse é, ó in sillaba complicata,
ovvero nelle sillabe che terminano con una consonante, e la
contemporanea chiusura in é, ó delle vocali aperte è, ò in sillaba
libera, ovvero nelle sillabe che terminano con la vocale stessa. Questo
fenomeno può essere anche parziale, limitato alla sola chiusura delle
toniche aperte in sillaba libera. Un esempio tratto dal dialetto di
Pettorano sul Gizio (L'Aquila), che presenta l'isocronismo sillabico in
maniera completa è: strèt-ta 'stretta', ma né-ra 'nera', e pé-dë
'piede', ma ròs-cia 'rossa'.
L'isocronismo è un fenomeno diffuso a partire dai centri montani vicino
Sulmona e sul versante adriatico dalla città di Chieti, e non dovrebbe
avere relazioni con le analoghe situazioni presenti in Puglia, giacché
l'area isocronica che continua quella abruzzese nel Basso Molise si
interrompe attorno al fiume Biferno per riprendere poi più a sud. Nelle
zone di origine del fenomeno, vige ancora la situazione isocronica
completa.
Nel chietino, sono centri con isocronismo completo Chieti,
Casalincontrada, Guardiagrele, Pretoro, Ripa Teatina e la bassa valle
del Pescara (Manoppello, Turrivalignani): in tali centri è parlato il
cosiddetto Chietino-occidentale, che appare come area di saldatura fra
l'Abruzzese Orientale-Adriatico e l'Abruzzese Occidentale.
Verso nord, la linea di inizio dell'area isocronica completa è segnata
grosso modo dal fiume Pescara, al di là del quale si estende fino alla
provincia di Teramo un'area non isocronica con vocali esclusivamente a
timbro aperto, che tende spostarsi più a sud man mano che si procede
verso la costa: dunque i luoghi in cui più precisamente avviene il
contatto fra la pronuncia teramano-pescarese e quella chietina sono la
frazione Sambuceto di San Giovanni Teatino e la parte più recente di
Francavilla al Mare al di là del fiume Alento, in cui a seconda della
provenienza e della residenza delle varie persone, convivono entrambi i
tipi di parlate.
L'area isocronica parziale invece include, ad esempio, i territori di
Bucchianico, Fara Filiorum Petri, Tollo, Vacri, Filetto (area
Chietino-orientale), Lanciano, Ortona, Vasto, e più all'interno, Bussi
sul Tirino, Tocco da Casauria, che risentono ancora di influssi peligni.
La linea di demarcazione fra l'area isocronica totale e quella parziale
parte dal promontorio ortonese, passa poco al di là di Ripa Teatina,
includendo completamente Bucchianico e Fara, ed escludendo Guardiagrele.
Ma ad un'analisi più approfondita la situazione appare ancor più
complessa e frammentata, in quanto alcuni centri interessati dal
passaggio della suddetta linea si pongono in un'area intermedia, né
completamente isocronica come quella chietina ma al contempo con un
timbro più aperto rispetto ai dialetti frentani: è il caso dei dialetti
di Miglianico, Villamagna, Roccamontepiano e Rapino.
Nel resto della regione, l'isocronismo parziale riguarda la valle
peligna orientale,la parte più orientale della Marsica, e l'Alto Sangro.
In alcuni casi, gli effetti dell'isocronismo interagiscono con quelli
dei frangimenti delle vocali toniche (vedi sotto). In altri casi, ad
esempio nel Teramano, l'esito residuale di antichi frangimenti vocalici
può essere percepito come equivalente all'isocronismo. Le vocali qui
assumono infatti, come anche nel Pescarese-Pennese, anche se ormai quasi
soltanto nella parlata delle persone più anziane e meno alfabetizzate,
un unico suono aperto, sia in sillaba chiusa sia in sillaba libera: così
quèssë "quésto", sèrë "séra", strèttë "strétto", nè-rë "néro", sòttë "sótto",
sòprë "sópra", pèdë "piede", ròscë "rósso", ròsë "rosa".
Frangimenti delle vocali toniche
Questo fenomeno consiste nell'alterazione delle vocali toniche tanto
nell'apertura quanto nel timbro, dando luogo a svariati esiti,
dittonghi, palatalizzazioni, ecc. Il risultato è quella "babele"
linguistica che spesso porta a ritenere assolutamente diversi i dialetti
di centri vicini che magari, ad un'analisi più scientifica, presentano
invece caratteristiche del tutto simili. Inoltre, questo tratto
dialettale è spesso avvertito dagli stessi parlanti come "arcaicizzante"
e quindi sconveniente rispetto a parlate più regolari e perciò più
"moderne". In alcuni centri, in cui pure si è manifestato in passato, è
stato pertanto dapprima reso facoltativo, poi del tutto rimosso.
I diversi tipi di frangimenti possono essere raggruppati in poche
categorie. Un primo tipo riguarda le sole vocali chiuse in sillaba
libera, mentre un secondo tipo incondizionatamente tutte le toniche
chiuse. Un esempio di sistema vocalico del primo tipo è quello di
Roccascalegna (Chieti), nel quale le vocali é, ó, ed anche ì, ù, in
sillaba libera, vengono dittongate: nèirë 'nera', ma stréttë 'stretta';
gëlàusë 'gelosa', ma róscë 'rossa'; fòilë 'filo', ma rìcchë 'ricco';
mèurë 'muro', ma brùttë 'brutto'
Come esempio del secondo tipo, si può prendere Cellino Attanasio
(Teramo), dove é, ó si aprono a ò, à molto larghe (quest'ultima velare),
tanto in sillaba libera che complicata: pòlë 'pelo', e stròttë
'stretto'; gëlàsë 'geloso', e ràscë 'rosso'.
Talvolta, i due tipi di frangimenti sono entrambi presenti, certo per
via di due correnti linguistiche non contemporanee, come a Vasto,
Monteodorisio e Quadri (Chieti), dove prima si fransero le é, ó
originarie, e poi anche quelle risultanti da isocronismo sillabico in
sillaba libera: nàirë 'nero', e stràttë 'stretto'; gëlàusë 'geloso', e
ràscë 'rosso'; fèilë 'filo', e rècchë 'ricco'; mìurë 'muro', e brìttë 'brutto';
néuvë 'nuovo'.
Indebolimento delle vocali atone
È sicuramente una delle caratteristiche più vistose, e più note anche ai
meno esperti, dei dialetti centro-meridionali. In tutte le parlate
dell'Abruzzo, tranne che in quelle della macro-area aquilana, e delle
propaggini più occidentali della Marsica, le vocali atone, cioè non
accentate, tendono a confluire nell'unico esito "neutro", qui
rappresentato con la grafia ë.
Questo fenomeno inizia a manifestarsi da Assergi, frazione di Camarda,
Picenze, frazione di Barisciano, nel contado forconese, a Bagno, Rocca
di Cambio, e nella Marsica fucense, già da Avezzano, Luco dei Marsi e
Balsorano.
In questi luoghi, nella metà occidentale dell'area Peligna, nella zona
ascolana e teramana settentrionale la a in posizione finale rimane
esclusa da questo fenomeno, mentre nell'Abruzzo adriatico anch'essa
confluisce nel suono neutro.
È da notare che poi le città di Teramo e Sulmona si pongono in una
situazione intermedia, mentre nella valle peligna corre un'isoglossa che
divide come detto prima un'area occidentale(la cosiddetta
Peligno-occidentale), con Acciano, Raiano, Introdacqua, Bugnara, che
conserva la -a, ed una orientale (la cosiddetta area Peligno-orientale),
con Campo di Giove, Pacentro, Pratola Peligna e Popoli, che la
conguaglia ad -ë. Infine, lungo l'Alto Sangro, l'isoglossa in questione
segue il confine provinciale, con Ateleta che conserva -a e Gamberale
che già la assimila ad -ë.
Palatalizzazione
La palatalizzazione di l e ll davanti a i e u originarie latine non
riguarda tutta l'Italia centro-meridionale, ma solo una sua porzione,
prevalentemente appenninico-tirrenica e rivolta a sud. Consiste nella
palatalizzazione dei nessi li, lu, lli, llu che hanno come esito
normalmente ji, ju, gli, gliu. Altri esiti particolari sono quelli
cacuminali della Valle d'Orta (ghju, ddu, ecc.) e della Valle del
Sagittario nel passato (zzu), entrambi ampiamente studiati.
La palatalizzazione è il fenomeno che distingue le parlate dei contadi
novertino e reatino da quelle aquilane. Queste ultime presentano infatti
palatalizzazione - e all'Aquila gli articoli maschili sono ji, ju -
mentre le prime ignorano tale fenomeno - e a Rieti gli articoli sono li,
lu -. La Marsica è uniformemente interessata dalla palatalizzazione,
mentre l'area Peligna è attraversata dall'isoglossa che divide le due
zone, così come per la perdita di -a. L'Abruzzo adriatico e l'Ascolano,
a parte alcune aree montane, non conoscono palatalizzazione.
Altri fenomeni
La palatalizzazione: i nessi formati da occlusiva + l si sono
normalmente palatalizzati come in italiano: bianco da blancu(m), chiave
da clave(m), piano da planu(m), fiume da flume(n). In certi casi, però,
alcuni nessi si sono conservati con l e addirittura rafforzati a pr, br,
fr, ecc. Ma tale fenomeno è guizzante sul territorio, e non se ne può
tracciare un areale geografico. Invece nel lembo meridionale
dell'Abruzzo si trova eco dell'esito pl>chj che è diffuso nell'Italia
meridionale.
La caduta di v- in posizione iniziale e spesso anche intervocalica è un
fenomeno tipico dell'Aquilano. Nelle frazioni dell'Aquila si ha ad
esempio l'àlle 'la valle'.
La propagginazione consiste nell'inserimento della sillaba tonica,
immediatamente prima della vocale accentata, della u o i della sillaba
precedente, in genere quella degli articoli maschili singolare e
plurale. Il fenomeno si presenta quasi sempre limitato alla sola u, ed
ha un aerale guizzante. Facendo un esempio tratto dalla parlata di
Calascio (L'Aquila), si ha cànë 'cane', ma ru cuànë 'il cane'.
Fenomeni generali, comuni all'intera Italia centro-meridionale sono
l'assimilazione di mb, nd in mm, nn, come in sammuchë 'sambuco', mónnë 'mondo';
la sonorizzazione delle consonanti dopo n, m ed anche di s dopo r, come
in fóndë 'fonte', càmbë 'campo', órzë 'orso', ecc., e la resa -r- del
nesso latino -rj-.
Morfologia
Sostantivi
In questi tutti i dialetti, i sostantivi sono maschili o femminili. Il
neutro romanzo, anche detto "neutro di materia", interessa alcune aree,
soprattutto nell'aquilano. Ad esempio, forme come lo pà(ne), lo vì(no)
sono in opposizione al maschile ju quatrànu.
Le forme del plurale dei sostantivi rimangono quelle del romanzo comune:
-i per i nomi maschili, -e per quelli femminili. Ma la -i dei maschili
ha provocato il fenomeno della metafonesi, che si riflette sulla vocale
tonica precedente. Nei dialetti dove le vocali atone finali si sono
indebolite e confluite nell'unico esito ë, la metafonesi resta così
l'unico marchio del plurale.
Si noti la particolare formazione del caso vocativo, ottenuto troncando
tutte le sillabe successive a quella tonica (se la sillaba tonica è
chiusa, cade la consonante terminale). Es.: professórë (professore) >
professò' (professore!)
Pronomi ed aggettivi
Come in buona parte dell'area centro-meridionale, i dialetti abruzzesi
sono caratterizzati da ènclisi dell'aggettivo possessivo (ad esempio,
pàtrëmë 'mio padre', sòretë 'tua sorella').
La tripartizione dei dimostrativi è anche un fenomeno comune. Ad
esempio, a Ortona si hanno stu 'questo', chëlù 'quello' e ssu 'codesto'.
La tripartizione riguarda anche gli avverbi di luogo; sempre ad Ortona,
si hanno ècchë 'qui', èllë 'lì', ma anche èssë 'costì' (lontano da chi
parla, vicino a chi ascolta). Un'alternativa al tipo èllë è lóchë,
diffuso nell'aquilano.
Il pronome personale soggetto di 3a persona è dappertutto il tipo isso
(varianti éssë, ìssu, ecc.)
Verbi
Il condizionale presente si presenta secondo due forme: l'una, più
antica, è rappresentata dall'aquilano mangiarrìa 'mangerei' e deriva
dall'infinito + imperfetto del verbo avere; la seconda riprende invece
il congiuntivo imperfetto, ad esempio magnéssë 'mangerei'. La seconda
forma tende a rimpiazzare la prima dappertutto. Sono attestate forme
ancora più arcaiche, derivate dal piuccheperfetto indicativo; ad
esempio, a Trasacco putìrë 'potresti', fatigarìmë 'lavoreremmo'.
Sintassi
Fenomeni comuni all'area centro-meridionale sono l'accusativo
preposizionale (salùtëmë a ssòrëtë 'salutami tua sorella');
l'impopolarità del futuro sostituito dall'indicativo presente (dumànë lë
fàccë 'domani lo faccio) ¨ Per esprimere un rapporto durativo, sono
diffuse due forme. La prima, comune a tutta l'area centro-meridionale
consiste nel costrutto andare + gerundio (ad esempio, va purtènnë la
pòstë 'va portando la posta'). La seconda forma, tipica dell'Abruzzo e
delle regioni limitrofe, utilizza il costrutto stare + infinito (ad
esempio, chë sta a ddìcë? 'che sta a dire?').
Molti dialetti d'Abruzzo e delle regioni limitrofe presentano essere
come ausiliare dei verbi transitivi, con l'eccezione della 3a e della 6a
persona (ad esempio, a Crecchio sémë cërcàtë 'abbiamo cercato', sétë
cërcàtë 'avete cercato').
L'accordo participiale è particolare; si ha accordo fra soggetto e
participio piuttosto che fra participio ed oggetto (ad esempio, nu lë
sémë fìttë lu pànë 'noi lo abbiamo fatto il pane', laddove fìttë mostra
metafonesi dal plurale in -i).
Caratteristico è l'uso del pronome arbitrario-impersonale nómë, ad
esempio in nómë dìcë ca jè bìllë 'dicono che sono belli'. Questo nómë è
un pronome che non ha corrispondenti in altri dialetti italiani oltre al
sardo. Questa caratteristica costruzione sintattica è tuttora molto
diffusa a Vasto, dove il pronome impersonale usato è l'ome, ad esempio
l'ome dèice a maje 'dicono a me'.
Da rimarcare un particolare fenomeno che interessa la zona di Ortona e
Lanciano, per cui all'ausiliare essere viene aggianciato il pronome.
Esempio: "Sollë fattë chëlà cosë", ovvero "L'ho fatta quella cosa".
Lessico
Tipi lessicali abruzzesi (scrittura etimologica standard) diversi
dall'italiano standard:
Alcuni esempi di opposizioni lessicali fra aree omogenee:
it. "ragazzo": tipo bardascio (Abruzzo adriatico, anche Marche), tipo
quatrano/quatrale (Abruzzo chietino-aquilano interno)
it. "bambino": tipo frechino (Teramano), cìttolo (Pescarese-Chietino),
quatranetto (Aquilano)
it. "testa": tipo capoccia (Marsica), coccia (resto d'Abruzzo), opp. ad
es. a testa (Marche, Sicilia, Settentrione), capo,-a (Meridione,
Lombardia, Toscana)
Ortografia
Non esiste un'unica regola ortografica per trascrivere l'abruzzese; tale
mancanza è probabilmente dovuta al fatto che l'eredita letteraria
scritta di questo dialetto è minima. Tra i poeti contemporanei che hanno
prodotto testi originali in abruzzese sono da ricordare Modesto Della
Porta, Raffaele Fraticelli e Romolo Liberale.
La caratteristica più vistosa del dialetto abruzzese è la presenza della
e muta risultante dall'indebolimento delle vocali atone. Questo suono è
indistinto, smorzato, ma non arriva mai alla soppressione totale della
vocale. Spesso viene reso con una e. Questa e può essere soppressa nella
scrittura se preceduta da una i tonica (allegrìe > allegri', Ddìe > Diì',
vìe > vì'). I dialettologi propongono invece l'utilizzo del grafema ë.
Gli scritti in dialetto abruzzese comprendono spesso altre due lettere:
la j (i lunga) che sostituisce l'italiano gli (ad es. pajàre) e
raddoppia se preceduta da vocale tonica (ad es. pàjje 'paglia');
la ç (c con la cediglia) nelle parole che hanno un suono intermedio fra
sci e ci, ad es. per distinguere fra caçe 'cacio' e casce 'cassa'.
Alcune alternanze nell'ortografia sono dovute alla particolare pronuncia
di alcuni nessi consonantici, come:
consonanti sorde precedute da m, n, ad es. càmpe/càmbe 'campo', vènte/vènde
'vento', ncòre/ngòre 'ancora', pènse/pènze '(io) penso';
s davanti a t e d, talvolta scritta alla maniera introdotta da Finamore
con il diacritico š , ad es. štanze, šdoppie, šdentate.
Come esempio di ortografia dialettale abruzzese, si riporta il testo
della prima strofa della nota canzone Vola vola (Albanese-Dommarco,
1908).
Testo in ortografia popolare:
Testo in ortografia fonetica semplificata:
Vuléssë fà 'rvënì pë n'óra sóla/ lu tèmbë bbèllë dë la cundendézzë/
quànnë pazzijavàm'a volavólë/ e të cupré dë vàscë e dë carézzë./ E vola
vola vola/ e vóla lu pavonë/ si tiè lu córë bbónë/ mó fàmmëcë arpruvà.
Traduzione in italiano:
Vorrei far ritornar per un'ora sola/ il tempo bello della contentezza/
quando noi giocavamo a "vola vola"/ e ti coprivo di baci e di carezze./
E vola vola vola vola/ e vola il pavone/ se hai il cuore buono/ su fammi
riprovar.
Qualche regola e curiosità
La "e" finale di parola non si pronuncia...come in Francese
Esempio: case (casa) si pronuncia cas ...+ (e muta francese)
GLI ARTICOLI
il, lo = lu - es. il maestro = lu mastre - lo zio = lu zie
la = la es. la casa = la case
i, gli , le = li es. i cafoni = li cafune - gli uccelli = li cille
un, uno = nu es. un carro = nu carre - uno zio = nu zie
una = na es. una bambina = na bardasce
AGGETTIVI POSSESSIVI
mio, tuo, suo = la mi, la tu, la su - es. il mio asino = l'asine amì, il
tuo carro = lu carre atù = il suo gallo = lu halle asù (l'aggettivo si
mette sempre dopo il nome)
mia, tua, sua = come sopra
nostro, vostro, loro = la nostre, la vostre (loro non esiste)
Alcune frasi
Io sono di Pescara, il nostro mare è bello, la mia casa si trova alla
Pineta
traduzione: J so di Piscare, lu mare nostre è belle, la case amì sta a
la Pinete
IL VERBO ESSERE
io sono, tu sei, egli è, noi siamo, voi siete, essi sono
j so, tu si, esse è, nu seme, vu sete, isse sonne
IL VERBO AVERE SI TRADUCE CON "TENERE"
j tinghe, tu ti, esse te, nu tineme, vu tinete, isse tenne
Proverbi e detti popolari
Lu mule dice curnute all'asine - Il mulo dice cornuto all'asino
Li solde di lu carastose si li sfrusce lu sciampagnone - I soldi
dell'avaro se li spende lo scialacquone - Questo proverbio si usa quando
la figlia o il figlio di un avaro sposa uno o una con le mani bucate -
In altri termini, l'avaro viene punito dagli stessi suoi figli
Curiosità grammaticali
I verbi abruzzesi NON HANNO FUTURO
Si, avete capito bene, il futuro è sempre presente indicativo
Esempi : Io andrò in America - J vaje a l'Americhe - Vaje = VADO
Altri esempi: Domani sarò alla festa della Madonna dei sette dolori -
Dumane sting a la feste di la Madonne di li sette dulure - sting = sarò
Lu mese chi vè pije la pahe - Il prossimo mese prenderò lo stipendio -
pije = prenderò |